FACCHETTI NON È MOGGI!

Fonte: fcinter1908.it
Palazzi si sbaglia. Lo ha detto il presidente Massimo Moratti, ma è il pensiero di tutti gli interisti del mondo. Le intercettazioni che hanno coinvolto Giacinto Facchetti, basta rileggerle o ascoltarle, basta soffermarsi sulle parole di Moggi o Bergamo e la Fazi che lo definivano un brindellone e anche non molto intelligente per capire che si trattava delle telefonate di un uomo la cui unica colpa è forse stata quella di non aver denunciato il tutto pubblicamente (ma chi l’ha fatto, il giornalismo d’inchiesta, forse?), che ha cercato di difendere la sua Inter, lo ha fatto per una vita intera, prima in campo poi da dirigente, chiedendo rassicurazioni e ricevendo in cambio solo prese in giro.
Quella che doveva essere la madre di tutte le intercettazioni (spuntata qualche giorno prima dal raggiungimento del triplete nerazzurro, toh che caso) dalla quale doveva evincersi che anche Giacinto dettasse le griglie degli arbitri al designatore Bergamo (alla stregua di quanto faceva Luciano Moggi, ndr) non era che un falso. In realtà a pronunciare il nome di Collina era stato il designatore.
Il Procuratore Federale della Figc ha accusato l'Inter di aver tenuto condotte tali da farle conseguire 'vantaggi in classifica'. Diciamola tutta, noi questi vantaggi non ce li ricordiamo: quanti campionati ha vinto la squadra nerazzurra in quegli anni? L’ultimo l’avevamo vinto nell’89: mentre cadeva il muro di Berlino il Trap consegnava alla società nerazzurra il suo tredicesimo scudetto. E sapete quante volte gli interisti si sono dovuti sentir dire ‘Siete i più perdenti d’Italia’? Eravamo perdenti perché non modificavamo un bel niente, eravamo onesti. Facchetti lo era. E su questo non ci sono dubbi, non ne avremo mai.
Da giorni sembra che Giacinto sia da porre sullo stesso piano dei fautori di quel sistema fatto di schede sim, ordini, schemi e griglie decise al telefono, ammonizioni ed espulsioni pilotate (e certo non nel senso mourinhiano del termine), di incidenze sul mercato (a Cannavaro dicevano: “Chiama Brindellone lì e digli che vuoi andare via perché non sei considerato dall’allenatore”), di giornalisti tenuti sotto scacco: nessuno scriveva la verità. La moviola era pilotata, pure quella.
C’è una cosa che va scritta e ripetuta nei secoli dei secoli: Facchetti non è Moggi. E farebbero meglio a tacere i tifosi juventini che continuano a parlare di morale e di etica, di cose giuste: proprio loro che la storia racconta come vittoriosi in un nove a uno contro la Primavera di Angelo Moratti mandata in campo per protesta contro la mancata accettazione della richiesta di ripetere la partita (e già a quei tempi si avvertiva una disparità di trattamento a quanto pare, ndr) o in quella triste serata dell'Heysel in cui portò a casa una Coppa Campioni (1 a 0 su rigore che, neanche a dirlo, non c’era), nonostante 39 morti.
In realtà Palazzi ha lasciato intendere che c’è una grossa differenza tra le due cose (gli atti della Juve di Moggi sono stati definiti di “differente gravità, protrazione e invasività”, ndr), ma questo è passato in secondo piano perché c’era da rilevare il termine prescrizione. Quella parola è un appiglio mediatico. “Rinunciateci” dicono ora esperti di diritto ed opinionisti dell’ultima ora: “Diventerete più simpatici”, “Moratti faccia il signore”. Come se non lo fosse mai stato. Ma noi, che non siamo avvocati e neanche opinionisti ma semplici interisti, chiediamo al presidente di rinunciare alla prescrizione e farsi processare.
Si, lo faccia caro presidente, ma prima però chieda di fare lo stesso a chi rivuole indietro 'i suoi' scudetti.
In Italia c’è la cattiva abitudine di far finire tutto nel dimenticatoio. Il processo per doping alla Juve, per esempio. La Cassazione ribaltò la sentenza di primo grado e condannò i dirigenti (Moggi e Giraudo, ndr) e il medico Agricola, che si salvarono proprio grazie alla prescrizione. Nessun giornalista supereroe in quei giorni ha osato dire alla società bianconera “rinunciate alla prescrizione” e rinunciate anche a tutto quello che avete vinto negli anni incriminati. Perché? Qualcuno la chiamerebbe ‘prostituzione intellettuale’.
Eva A. Provenzano e Veronica Giuliano