Tutto Deki: "Juve o Milan? Battiamole entrambe"



Fonte:
 Gazzetta dello Sport
© foto di Giuseppe Celeste/Image Sport
Dejan Stankovic è un gerriero. Uno di quelli che in camp odà tutto e che, anche per questo, è tra i più apprezzati dalla propria tifoseria. Dejan, in questi anni, per certi versi ha rispecchiato lo spirito dell'Inter: fiero, indomabile, capace di giocate di alta scuola ma allo stesso tempo bravo pure quando si tratta di dar battaglia. Il serbo conferma il suo spirito in una bella intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport. Parole importanti, che arrivano in un momento delicato per l'Inter.
Dejan Stankovic, le piace la parola scintilla?
«Provoca perché sa che sono uno che si accende facilmente?».
Tipo quella volta a Napoli, quando Ranieri la tolse e lei urlò 'Qui escono sempre gli stessi'?
«La frase non era esattamente quella, ma qualcosa avevo detto. Non è una cosa da me, ma dietro c’era solo la voglia di essere in campo a lottare: magari di perdere, ma di esserci».
E comunque guardi che è stato Moratti a provocarvi: vuole una scintilla domenica a Torino.
«E ha ragione: ci restano dieci partite, ci serve una striscia di buoni risultati, magari di vittorie».
Facciamo sette come a dicembre e gennaio?
«Con sette potrebbero succedere tante cose. Questo è un campionato strano: vincere cambia la testa, ma può cambiare anche tanto la classifica».
Sì, ma continuare a parlare di speranza terzo posto non significa illudersi, e illudere?
«La classifica è chiara e raccontare bugie non è bello. Però c’è un però, anzi due. Il primo: per arrivare terzi è importante vincere qualche scontro diretto e noi ne abbiamo due, contro Udinese e Lazio. Il secondo: non è mai bello avere l’Inter alle spalle, e un po’ di paura secondo me, nonostante tutto, continuiamo a farla».
Le (poche) scintille di quest’anno?
«Facile dire il derby, e in fondo è un derby anche quello che andiamo a giocare a Torino. Ma io ricordo volentieri la partita di Lilla, per certi versi perfetta: corsa, aggressività, organizzazione tattica. Un buon esempio per domenica sera, anche perché è un po’ il calcio della Juve: aspettano, rubano palla, ripartono a mille all’ora e arrivano in 5-6». 
E per usare le vostre parole pre-Marsiglia, hanno uno stadio che gli soffia alle spalle.
«Questo è vero, ma magari è buono per noi: questa spinta potrebbe portarli a sbilanciarsi, a lasciarci qualche spazio. In fondo qualche pareggio in casa lo hanno fatto, no?».
A proposito di parole: troppe e troppo pochi fatti. C’è un vero perché?
«Ce ne sono tanti, ma si è parlato troppo anche di quelli. Adesso l’unica cosa che conta è che non abbiamo ancora smesso di pedalare».
Se domenica sera le toccasse fare un discorso tipo quello di Julio Cesar nell’intervallo di Inter-Catania?
«Direi solo due cose: giochiamo per noi stessi, e per il nostro onore».
Per usare un’altra frase a lei cara: contro la Juve servirà più la testa fredda o il cuore caldo?
«Il cuore sarà caldo per forza, il problema è che rischia di esserlo anche la testa: dobbiamo usarla bene».
Ma ha più da perdere l’Inter o la Juve?
«La Juve: loro giocano per lo scudetto e la pressione è quella che è, noi lo sappiamo bene. Devono vincere per forza, e il Milan gioca un giorno prima di loro: potrebbe essere ancora di più un obbligo».
Ci sarebbe più gusto a togliere lo scudetto alla Juve o al Milan?
«Ci sarebbe gusto ad andare a vedere come finisce dopo averle battute entrambe».
Dopo quella partita di Coppa Italia con il Milan, si aspetta una Juve più carica o più stanca?
«Cavolo, un po’ stanchi saranno, no? Sono stati 120’ di grandissima intensità. Può avere la sua influenza, anche perché per far bene domenica sera dobbiamo correre almeno quanto loro».
Visto il suo amico Vucinic?
«L’ho visto sì, ma non mi sono stupito più di tanto. Con lui ho giocato anche in nazionale, lo conosco bene e sapevo che sarebbe tornato alla grande. Contento per lui: troppe critiche, non le meritava».
E’ giusto chiamarlo l’Ibrahimovic juventino?
«A m everamente ricorda Dejan Savicevic».
Consigli dati ai suoi compagni difensori?
«Guardate sempre la palla: le finte sono il suo pane e gli basta poco spazio per inventare un assist. E siccome i suoi compagni lo sanno, partono sempre in tre o quattro per andare a raccoglierlo».
Adesso poi ha anche cominciato a segnare, al contrario di un certo Stankovic. 
«Vero, ma ho ancora dieci giornate a disposizione, e magari domenica è la volta buona. In tutta la mia carriera non ho mai finito una stagione senza segnare neanche un gol: mai. Non mi pare possibile che possa succedere quest’anno: no, non ci voglio neanche pensare».
E al suo futuro dopo il 13 maggio vuole pensare?
«Non adesso: a fine stagione. Parlerò con la società e confronteremo le nostre idee, le nostre intenzioni: se si penserà che Stankovic può essere ancora al livello dell’Inter e servire all’Inter, sarà un onore restare per gli altri due anni del mio contratto. Altrimenti, zero problemi: me ne andrò dicendo solo un grande grazie a tutti».